Ven, 2013-01-18 16:05
“Io riattivo il lavoro”, campagna nazionale promossa dalla CGIL per riattivare il circuito delle aziende sequestrate e confiscate alle mafie. Intervista a Luciano Silvestri, Responsabile Ufficio Legalità della CGIL
Lo scorso 4 ottobre la CGIL, insieme alle tante forze e associazioni impegnate nella lotta alla criminalità organizzata, Avviso Pubblico, Libera, l’Arci, Lega delle Cooperative, Sos Impresa e il Centro studi Pio La Torre, ha lanciato una campagna, dal titolo “Io riattivo il lavoro”, finalizzata a sostenere una legge di iniziativa popolare a tutela dei lavoratori delle aziende confiscate alle mafie. Attraverso questa campagna si vuole dimostrare come è possibile riattivare il circuito che si interrompe quando le imprese sottratte ai clan cessano la loro attività e come è necessario valorizzare le enormi potenzialità di sviluppo di attività economiche e produttive dislocate nel nostro territorio nazionale. Avviso Pubblico ha intervistato Luciano Silvestri – responsabile dell’Ufficio Legalità e Sicurezza della CGIL – per conoscere nei dettagli questa campagna.
Intervista a Luciano Silvestri, Responsabile dell’Ufficio Legalità della CGIL
Come è nata la proposta di una campagna finalizzata a sostenere una legge di iniziativa popolare a tutela dei lavoratori delle aziende confiscate alla criminalità organizzata?
Nel corso di questi anni il sindacato ha dovuto affrontare sempre più spesso le problematiche indotte dal fenomeno delle aziende sequestrate e confiscate. Problematiche che prima di tutto riguardano la condizione di coloro che si trovano ad operare in quelle aziende, quei lavoratori che rimangono quasi sempre senza salario e senza posto di lavoro perchè al momento del sequestro tutto si blocca. Le banche che avevano concesso crediti all’azienda mafiosa pretendono immediatamente la restituzione dei prestiti, i fornitori e gli utilizzatori dei prodotti scompaiono e si annebbia la prospettiva produttiva di quella azienda. Parliamo di un fenomeno che riguarda 1.663 aziende e circa 80.000 lavoratori e che dal 2008 è cresciuto del 65%, investendo ormai tutti i settori produttivi e tutte le regioni italiane. Una situazione devastante sulla quale è necessario intervenire a partire proprio dalle carenze legislative che ad oggi non rendono disponibili, come sarebbe necessario, strumenti adeguati di sostegno e di accompagnamento all'impresa che deve ricostruire una prospettiva di legalità produttiva.
Cosa vuole introdurre la legge che proponete?
Gli articoli della Legge che proponiamo sono 10 e sono tutti importanti in quanto strettamente e organicamente concatenati fra di loro. Essa vuole introdurre norme e strumenti che consentano di operare al meglio sulla strada del riutilizzo legale di quei beni e del loro potenziale produttivo, come la Legge Rognoni-La Torre aveva in maniera lungimirante individuato. Dobbiamo, infatti, assolutamente evitare che passi il segnale pericoloso secondo il quale “con la Mafia si lavora mentre quando arriva lo Stato questa possibilità viene meno”.
Quali sono i punti principali di questa proposta di legge?
Il punto che a me pare più rilevante è rappresentato dal “Fondo di Rotazione” istituito presso il Ministero dello Sviluppo Economico, finalizzato a dare continuità del credito bancario, ma anche a sostenere i processi di investimento, la tutela dei livelli occupazionali, la promozione di emersione del lavoro irregolare, la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Insomma riutilizzando una parte degli stessi capitali sequestrati ai mafiosi si può concretamente operare per evitare la vendita delle aziende e per rilanciarle sul mercato legale. Altre novità rilevanti sono rappresentate dall’articolo 2 che introduce l’“Ufficio Attività produttive e Sindacali” e dall’articolo 3 che rende protagonisti i territori assegnando alle rappresentanze sociali e istituzionali di quel livello competenze specifiche nella gestione finalizzate a rimuovere le criticità che si manifestano. Poi ci sono i sostegni ai lavoratori in modo da non disperdere il patrimonio di conoscenze e di professionalità che hanno acquisito, ma anche i sostegni alle imprese come ad esempio lo sconto dell'IVA del 5% da praticare nella fase del sequestro.
Quali obiettivi si pone e in che tempi?
La campagna per raccogliere le firme a sostegno della Legge è una straordinaria occasione per mobilitare la società civile e rendere protagonisti donne e uomini delle istituzioni in modo da avere quella spinta necessaria per realizzare in Parlamento una buona legge. Questo è il nostro primo obiettivo. Oggi, con le norme attuali, l’80% delle aziende sequestrate non riesce a riemergere e fallisce. La tendenza di lungo periodo alla quale guardiamo è quella di invertire la percentuale di successo. Possiamo farcela se lo Stato riorganizza, come la legge propone, il suo modo di stare in campo offrendo ai lavoratori coinvolti e ai tanti giovani che sono disponibili una nuova opportunità di lavoro e di riscatto. La confisca è uno straordinario risultato, ma l'obiettivo è quello di dare a quel bene continuità produttiva per sconfiggere la mafia sul piano del consenso sociale dopo averla colpita al cuore dei suoi interessi economici.
In che modo intendete valorizzare l’enorme potenziale di sviluppo di queste attività produttive ed economiche?
La legge e gli strumenti di sostegno in essa contenuti rappresentano il punto fondamentale per valorizzare e rilanciare le aziende confiscate ma il valore aggiunto che possiamo dare a questo processo di valorizzazione è rappresentato dalla rete di soggetti che, in maniera solidale e in relazione alle loro diverse e specifiche competenze, possono creare le condizioni necessarie. Già adesso, nelle esperienze positive di gestione di beni confiscati, accade questo. Ad esempio i prodotti delle terre confiscate gestite dalle cooperative sociali hanno la possibilità di essere commercializzati in virtù di una rete di acquirenti stimolata dalle varie associazioni antimafia, dal sindacato e dalle catene delle Coop di distribuzione. Così come gli acquisti di macchinari necessari alla produzione e alla lavorazione dei campi talvolta è reso possibile grazie alle “cene di legalità” con le quali l'Arci, Avviso Pubblico, la CGIL, Libera ed altri ricavano i finanziamenti necessari. Ma anche il sostegno delle istituzioni e di altri imprenditori acquirenti si è rivelato fondamentale, così come lo è l'aiuto e il sostegno del sistema creditizio.
In sostanza, la vostra proposta è quella di creare un vero e proprio sistema produttivo per le aziende sequestrate e confiscate alle mafie?
Si, noi dobbiamo far sì che tutto questo si allarghi e diventi un vero e proprio sistema, una rete di “legalità produttiva”, ma affinchè ciò accada è fondamentale il ruolo dello Stato. Naturalmente non dobbiamo dimenticare che anche i prodotti realizzati nelle aziende confiscate devono essere all'altezza della concorrenza e delle aspettative del mercato. Per questo non dobbiamo dimenticare l'importanza che ha il ruolo dell'Amministratore Giudiziario al quale in prima istanza viene affidata la gestione del bene confiscato. Questa figura svolge un ruolo importante che deve ispirarsi a quello di un dirigente aziendale e non, come troppo spesso accade, a quello del curatore fallimentare. Sono due approcci completamente diversi e la nostra Proposta di Legge indica la strada per realizzare il primo attraverso l'inserimento, in un Albo apposito, di Amministratori Giudiziari che abbiano le competenze di managerialità adeguate.
Quali sono le lacune dell’attuale legislazione che non consentono alle aziende confiscate di diventare modelli di legalità economica capaci di garantire sicurezza sociale?
Sicuramente le lacune dell’attuale legislazione sono messe in evidenza dai 10 punti contenuti nella nostra proposta di legge. Ci sono poi lacune più generali, meno legate all’operatività specifica delle aziende, che tuttavia sono anch'esse assai rilevanti. Mi riferisco al così detto Codice Antimafia voluto pervicacemente e a colpi di fiducia dal precedente governo. Quel codice è un vero e proprio atto fallimentare che segna perfino un arretramento rispetto a quanto affermavano le norme antimafia precedentemente disponibili. Manca una Legislazione Generale di sostegno alla lotta al fenomeno mafioso in grado di cogliere le novità e le evoluzioni che nel corso di questi ultimi anni hanno caratterizzato l'azione e la presenza della criminalità organizzata nel nostro paese. Noi possiamo fare molto, ma tocca essenzialmente alla Politica scuotersi da questa sorta di pigrizia culturale, di disattenzione talvolta sospetta, che anche in questa importante campagna elettorale impedisce la presenza di un tema vitale per il nostro paese.
Uno dei fenomeni generati dall’attuale crisi è l’aumento al ricorso a forme di impiego irregolari. Come si può coniugare legalità e lavoro in questo nostro Paese oggi?
La crisi pone inevitabilmente i soggetti più deboli in una condizione di pesante ricattabilità. In una situazione come questa lo Stato, in quanto soggetto regolatore del mercato, avrebbe dovuto disporre leggi e norme capaci di evitare questo fenomeno in modo da tutelare la parte più debole, cioè i lavoratori. Purtroppo non è andata così. La legislazione attuale sul mercato del lavoro, la Legge Fornero, ha largamente disatteso questo compito e rappresenta perciò il punto principale da modificare per ridare slancio ad un rapporto virtuoso fra legalità e lavoro. Non mi riferisco soltanto alle modalità di assunzione, alle deroghe, alla eccessiva flessibilità salariale e normativa, penso anche a tutto il sistema di controlli che la legge di riforma del mercato del lavoro ha sostanzialmente smantellato. Mi riferisco alla “timidezza” con la quale il governo ha affrontato la piaga del caporalato varando una legge che per la prima volta riconosce questo fenomeno come un reato, ma che rimane largamente insufficiente nella parte sanzionatoria. Il paese ha urgente bisogno di ricostruire una concreta condizione di legalità a partire dal lavoro. Questa nostra proposta rappresenta un importante contributo in questa direzione.
A cura di Giulia Migneco
Foto e breve biografia
Attualmente Responsabile dell'Ufficio Legalità e Sicurezza della CGIL Nazionale, ha iniziato il suo impegno politico facendo il delegato sindacale nelle imprese di appalto all'interno dello Stabilimento Siderurgico di Piombino nel 1969.
Dal 1979 al 1980 è stato delegato sindacale alla Dalmine di Piombino e successivamente responsabile Formazione alla FLM Regionale Toscana.
Nel 1983 è stato nominato segretario alla FIOM di Piombino e nel 1986 è diventato Segretario Generale della CGIL di Piombino
Dal 2000 al 2007 è stato Segretario Generale della CGIL Toscana.
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