Gio, 2012-07-19 10:35
Amministrare i beni e le aziende confiscate. All’Università Cattolica di Milano partirà un corso di alta formazione. Intervista al Prof. Gabrio Forti
Secondo una statistica stilata dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, al 4 giugno 2012, in Italia, sono 12.195 le proprietà sottratte alle mafie e al crimine organizzato, di cui 10.618 sono immobili e 1.577 aziende. Questa immensa quantità di beni che arrivano in gestione allo Stato, in diversi casi presenta delle difficoltà di gestione. Per far fronte a questa situazione, a novembre di quest’anno, presso l’Università Cattolica di Milano, partirà un “Corso di Alta Formazione per Amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati”.
Avviso Pubblico ha intervistato il Professor Gabrio Forti, Preside della Facoltà di Giurisprudenza e Direttore del Centro studi “Federico Stella” sulla giustizia penale e la politica criminale, per approfondire le ragioni di questa scelta.
Professor Forti da dove nasce l'idea e qual è l’obiettivo del Corso di Alta Formazione per Amministratori giudiziari di aziende e beni sequestrati e confiscati (AFAG)?
Il Corso segue e si ispira ad analoga esperienza pilota realizzata negli scorsi anni a Palermo e prende vita grazie a un’apposita convenzione, firmata il 19 maggio 2012, presso l’Università Cattolica di Milano, tra il Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale e il Dipartimento di Studi europei e dell’Integrazione internazionale dell’Università degli Studi di Palermo (DEMS). Al progetto hanno garantito la loro collaborazione la Procura Nazionale Antimafia, il Tribunale di Milano, l’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Sequestrati e Confiscati alla criminalità organizzata e la Banca d’Italia (sede di Milano).
Il Corso, primo del suo genere nell’Italia settentrionale, intende rispondere all’esigenza delle Istituzioni e dell’Autorità giudiziaria di potersi avvalere di figure professionali qualificate, in grado di affrontare, con competenza giuridica e aziendalistica, le delicate problematiche poste dai nuovi strumenti di contrasto alla criminalità economica e organizzata sul terreno della gestione e della destinazione dei beni sequestrati e confiscati.
Il Corso che proponete pone una particolare attenzione sulla gestione dei beni aziendali confiscati. Perché questa scelta?
La consapevolezza di come le attività mafiose nelle regioni settentrionali abbiano assunto un chiaro profilo aziendale e la crescente complessità normativa (con l’intervento, da ultimo, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione”, più noto come Codice antimafia) che caratterizza la materia, rendono urgente la formazione di amministratori giudiziari capaci di gestire cespiti, di grandi dimensioni e potenzialmente produttivi, nella prospettiva della loro restituzione alla comunità sociale e della salvaguardia dei livelli occupazionali. Solo così sequestro e confisca possono diventare – invece di sanzioni puramente repressive destinate a disperdere le potenzialità dell’azienda o del bene – occasione e fonte di sviluppo, per creare occupazione e servizi per le comunità e il territorio. Siamo convinti che la promozione della legalità economica costituisca una leva formidabile non solo per contrastare il malaffare, ma anche per contribuire allo sviluppo economico del Paese in un momento così delicato.
A chi è rivolto in particolare e come sarà strutturato il Corso?
Il Corso è rivolto, principalmente ma non solo, ad avvocati, dottori commercialisti e dirigenti d’azienda. Le lezioni avranno inizio il 16 novembre 2012 e la didattica sarà articolata in moduli. Nell’ambito di ciascun modulo si svolgeranno lezioni frontali ed esercitazioni che, in una prospettiva di forte integrazione interdisciplinare, garantiranno un continuo scambio tra teoria e prassi. Sarà, pertanto, costante e aggiornato il confronto con la giurisprudenza e con le esperienze manageriali più qualificate, in coerenza con la forte vocazione professionalizzante dell’iniziativa. Sono previste centotrenta ore di didattica, a cura di esperti provenienti dal mondo dell’università, delle istituzioni e delle professioni.
Secondo Lei quali norme si dovrebbero introdurre per facilitare il riutilizzo sociale dei patrimoni confiscati e dare concreta attuazione alla norma che stabilisce la confisca di beni ai corrotti?
L’Osservatorio nazionale su confisca, amministrazione e destinazione dei beni e delle aziende, promosso dal DEMS di Palermo, ha avviato una prima fase di riflessione e dibattito, tra studiosi e operatori della giustizia, sui problemi applicativi derivanti dall’introduzione del c.d. Codice Antimafia. In particolare, l’Osservatorio ha messo a punto ventitrè proposte di modifica dirette a migliorare le procedure di sequestro, confisca, gestione e destinazione dei patrimoni mafiosi. Le prime esperienze applicative hanno, infatti, messo in luce alcuni profili di criticità che potrebbero incidere negativamente sull’efficacia dell’azione di contrasto alla criminalità e sull’efficienza delle procedure. Le modifiche proposte tendono a conferire maggiore efficienza e incisività al procedimento: ad esempio, semplificandone e riducendone gli snodi ed evitando frammentazioni nella gestione dei beni sequestrati, cercando, nel contempo, di salvaguardare i diritti delle parti. In questa direzione si colloca anche la proposta di affidare all'Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati i cespiti solo dopo la confisca definitiva e non, come previsto attualmente dall’art. 38 del d.lgs 159/2011, già a seguito del decreto di confisca di primo grado.
Lei, che è uno dei massimi esperti in materia, come giudica il disegno di legge anticorruzione attualmente in discussione in Parlamento?
Tra gli aspetti interessanti della riforma, vedo la configurazione di una fattispecie di “corruzione per l’esercizio della funzione” che punisce il pubblico ufficiale il quale, “per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa”, così come l’introduzione di una figura di “Traffico di influenze illecite”, salva una certa imprecisione, che può porre problemi di in sede applicativa. Significative mi paiono anche le norme che prevedono il divieto, nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per reati contro la pubblica amministrazione, di far parte, tra l’altro, di commissioni o uffici deputati a gestire risorse economiche o a determinare l’assegnatario di gare pubbliche o appalti.
Mi suscitano invece perplessità gli aumenti delle sanzioni edittali. Mi pare una via indiretta per non affrontare direttamente (forse perché tema politicamente spinoso) l’esigenza di una nuova determinazione dei termini di prescrizione, che tenga conto della complessità e, quindi, dei lunghi tempi richiesti per le indagini in materia di reati economici e politico-amministrativi.
Noto inoltre che nel ddl la già esistente Civit (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche) viene qualificata come futura Autorità anticorruzione, senza però che siano risolti, mi pare, i problemi di cui hanno sofferto in passato queste autorità, soprattutto legati alla scarsa indipendenza dal potere esecutivo e, quindi, alla impossibilità di sottrarsi al perverso intreccio tra politica e pubblica amministrazione. Se proprio non si vuole compiere il passo coraggioso di assicurare una reale indipendenza a questa authority, bisognerebbe almeno puntare con decisione a farne un autorevole collettore e distributore di formazione e informazione sul problema della corruzione e sulle misure necessarie a prevenirne la diffusione. Non c’è abbastanza conoscenza diffusa su questi fenomeni.
Qual è il vero problema nel contrasto alla corruzione?
Il problema principale nel contrasto della corruzione resta quello della scoperta dei reati. Si tratta quindi di mettere in campo strumenti efficaci per spezzare il “bozzolo omertoso” che lega corrotto e corruttore e rende impenetrabile il loro rapporto illecito. Sotto questo profilo è certamente apprezzabile, nel ddl anticorruzione, la previsione di norme a protezione del pubblico dipendente che riferisca all’autorità giudiziaria, alla Corte dei conti o al proprio superiore gerarchico condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. Certo, al di là delle enunciazioni di principio, si tratta di far funzionare realmente queste tutele e renderle davvero in grado di rappresentare un incoraggiamento alla denuncia. E le esperienze straniere ci insegnano che non si tratta di un compito semplice, per il quale basti il proverbiale “tratto di penna” del legislatore. Occorre creare ulteriori incentivi alla desistenza, al ravvedimento operoso o comunque alla collaborazione post delictum dei soggetti coinvolti. Anche sotto questo profilo non trovo convincente la soluzione adottata nel ddl governativo di uno sdoppiamento dell’attuale fattispecie di concussione in due figure distinte, con la novità della “induzione indebita a dare o promettere utilità”. Mi pare che questa figura riproponga tutte le incertezze legate alla vecchia concussione per induzione senza essere in grado di esprimere la scelta normativa forte che era stata contemplata nella cosiddetta Proposta di Cernobbio del 1994, con l’abolizione secca della fattispecie di concussione. Se non si vuole accedere a una concezione del genere, riterrei comunque appropriata l’abolizione quanto meno della concussione per induzione, accompagnata però da norme premiali a favore di chi, entro un certo termine, denunci l’illecito in cui è stato coinvolto.
A cura di Giulia Migneco
Per maggiori informazioni visitare il sito internet del Centro Studi “Federico Stella”
Biografia di Gabrio Forti
Gabrio Forti, Professore ordinario di Diritto penale e Criminologia, è Preside della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Cattolica del S.C. di Milano e Direttore del Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica criminale della stessa Università. Dopo un periodo di lavoro come funzionario presso la Commissione delle Comunità Europee a Bruxelles, ha insegnato nelle Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Sassari e dell’Università Cattolica di Piacenza. Ha coordinato e coordina vari progetti di ricerca ed è membro del comitato scientifico di riviste giuridiche e culturali. Tra i temi principali affrontati nelle sue pubblicazioni (tra cui varie monografie e un’ampia produzione saggistica in campo giuridico e criminologico): la responsabilità penale colposa, la criminalità economica e organizzata, i delitti contro la pubblica amministrazione, la rappresentazione mediatica del crimine, la metodologia dell’integrazione interdisciplinare tra diritto penale e criminologia, le questioni di teoria della giustizia di rilevanza politico-criminale, il rapporto tra giustizia e letteratura, i problemi della responsabilità medico-chirurgica. Si ricordano in particolare i seguenti volumi: Colpa ed evento nel diritto penale (Giuffrè, 1990), L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale (Cortina, 2000), Il problema della medicina difensiva Una proposta di riforma in materia di responsabilità penale nell’ambito dell’attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico (ETS, 2010, con M. Catino, F. D’Alessandro, C. Mazzucato, G. Varraso). Ha curato l’edizione italiana di E.H. Sutherland, Il crimine dei colletti bianchi (Giuffrè, 1987) e (con Marta Bertolino) La televisione del crimine (Vita e pensiero, 2005). Insieme a C. Mazzucato e A. Visconti, è curatore del volume, di prossima pubblicazione, Giustizia e Letteratura (Vita e Pensiero, 2012). Ha curato e tradotto opere storiche e letterarie.